martedì 19 giugno 2018

Femminicidio e stalking, ovvero quelle "mode" di cui a quanto pare non ci si riesce a liberare

Mi è sembrato bello riaprire la serie dei "pipponi" di questo blog con un argomento importantissimo.
Anni fa, precisamente nel 2013, fu varata la legge 15 ottobre 2013, n. 119, che recepiva il precedente Decreto Legge del 14 agosto. L'obiettivo di tale legge era quello di risolvere... magari!... di porre un freno al fenomeno del femminicidio, che sembrava dilagare sempre più senza alcun tipo di freno.

Quando diedi un'occhiata alla legge, cercando di vedere qua e là quali fossero i commenti che questa riceveva, mi persuasi del fatto che questa legge era quasi completamente inutile, e sotto certi aspetti addirittura controproducente.
Mi trovai a sostenere questa posizione in qualche "pippone" su Facebook, e naturalmente mi presi anche del maschilista e dell'insensibile, da parte di qualcuno. Ci sta.
Quello che io criticavo della legge erano diverse cose, alcune vere a prescindere dalla legge stessa, altre strettamente connesse col suo quadro normativo.

Anzitutto sostenevo che fosse sbagliata una legge sul femminicidio, visto che trovavo "filosoficamente" sbagliato combattere un fenomeno (quello della discriminazione uomo-donna) con qualcosa che questo fenomeno lo sancisse per legge.
Poi temevo che una legge come quella che era stata varata avrebbe avuto anche il pericoloso effetto di "lavare molte coscienze", consentendo - in pratica - alla "società" di dire: di che vi lamentate, ora? La legge c'è!

Per quanto riguarda poi il contenuto della legge, c'erano a mio avviso alcuni errori imperdonabili.
Anzitutto, la legge si muoveva - essenzialmente - solo nell'ottica dell'inasprimento delle pene. Fatto questo che dovrebbe apparire subito grottescamente inutile, visto che - limitandosi proprio al solo aspetto del femminicidio - considerando che molto spesso il femminicida si toglie la vita, dopo averla tolta alla propia vittima, ci si chiede come un inasprimento di pena possa scoraggiare l'aggressore dal commettere il delitto.
Di più, io credo che, parlando di assassinio, l'obiettivo non dovrebbe essere quello di punire l'assassino, ma quello di fare in modo che l'assassino non riesca ad agire! 
Un altro errore determinante era quello di rendere sempre più "attivo" e indispensabile il ruolo della cosiddetta parte offesa, ossia della vittima. E' di tutta evidenza, invece, che le donne vittime di violenza, quando anche trovino la forza di riuscire a denunciare quanto subito, abbiano il desiderio di essere poi tenute il più fuori possibile da tutto ciò che segue questa denuncia.
Di più, la legge rendeva irrevocabile la querela. E questo, nell'attuale sistema socio-culturale italiano, anziché avere un effetto positivo (la vittima non ha più la possibilità di ritirare la denuncia, a seguito delle inevitabili pressioni psicologiche e fisiche che sempre subisce in situazioni di questo tipo, a qualunque livello e da qualunque ordine di persone, anche a volte da persone "insospettabili" come i propri stessi parenti), avrebbe avuto secondo me due effetti negativi.
Il primo, più importante, sarebbe stato quello di una drastica riduzione delle denunce (consapevole dell'irrevocabilità della denuncia, una donna vittima di violenza ci penserà ancora di più, prima di decidersi a sporgere la denuncia).
Il secondo, più sociale, sarebbe stato un aumento dei costi e dei tempi di gestione del fenomeno. Denunce irrevocabili finirebbero tutte in tribunale, dove potrebbero comunque essere ritrattate (aumento di costi e tempi), portando a giudizio vittime poco convinte di proseguire, dando così luogo a processi dall'esito addirittura opposto a quanto ci si attenderebbe, cosa che creerebbe precedenti pericolosi, ed un aumento della percezione della "ingiustizia della giustizia", che è proprio il principale motivo che frena le donne vittime di violenze dal denunciare i propri persecutori. Il tutto, quindi, avrebbe creato un effetto a catena di tipo negativo.

I fatti - purtroppo - sembra mi abbiano dato ragione.
Dopo un iniziale diminuzione dei femminicidi, che comunque non sono spariti, ma sono rimasti su livelli in linea con quelli ante-2013, dal 2016 il fenomeno è tornato a peggiorare.
Le statistiche sono inquietanti, e mostrano come tutto continui ad essere come prima, come il numero dei femminicidi vada crescendo, come la quasi totalità degli stessi accada per motivi passionali, come la stragrande maggioranza dei delitti riguardo vittime italiane e sia commessa da aggressori italiani, come la quasi totalità riguardi il contesto familiare (si arriva praticamente alla totalità se si considera come "contesto familiare" l'esistenza di una relazione sentimentale tra l'assassino e la vittima).

Se poi si vanno a guardare le statistiche sullo stalking e sugli effetti della legge del 2009, che doveva porre un freno a questo fenomeno, ci si accorge che - anche in questo caso - la legge ha fatto un drammatico buco nell'acqua, per non parlare di ottenere un vero e proprio effetto-boomerang.
Se si vanno a guardare i quadri che indicano come il comportamento dell'aggressore (proveniente da un contesto "sentimentale" o meno) sia cambiato dopo la denuncia,  si può vedere come la situazione sia drammaticamente peggiorata dopo il 2009.

Cos'è che manca, allora?
Anzitutto manca la corretta individuazione del "punto di intervento".
Visto che il fenomeno che si sta cercando di arginare sono le aggressioni, a mio modo di vedere l'inasprimento delle pene ha un effetto molto scarso, perché - appunto - interviene dopo che il fatto criminale viene messo in atto. Inoltre, come detto, a commettere delitti di questo genere sono spessissimo uomini "fuori di testa", che non sono in grado di connettere logicamente (altrimenti semplicemente non commetterebbero il crimine), non sono pertanto in grado di risultare scoraggiati da una pena più o meno rigida, visto che tra l'altro, spesso, si toglieranno essi stessi la vita dopo avere ucciso la partner.
Un inasprimento delle pene può essere un valido deterrente contro l'evasione fiscale, e in generale in ambito civilistico, ma per un caso come questo, l'inasprimento delle pene (da solo, sia chiaro... è ovvio che ci voglia ANCHE l'inasprimento delle pene) se è necessario, non è assolutamente sufficiente a risolvere le questioni.
Quello che dovrebbe venir messo in atto è un profondo e totale processo di educazione civica e sociale, che insegni agli uomini, fin da quando sono ragazzi, fin da quando vanno a scuola, quali siano i termini corretti di una relazione sentimentale, quale sia il contesto di applicazione della gelosia perché possa essere definita "sana", quale sia un modo civile per affrontare le... divergenze, dal semplice diverbio alla fine di un rapporto.
Troppo difficile? Vero, me ne rendo conto.
Troppo difficile e troppo lento... Non si può aspettare che questo lentissimo processo si compia, lasciando andare le cose come vanno.
Si potrebbe però iniziare... già sarebbe qualcosa! Se mai si parte, mai si arriva.

Più rapido, forse, potrebbe essere il processo di educazione che coinvolga proprio le parti lese, le donne. E con esse tutto il contesto familiare che le circonda. Riuscire a convincere le donne di quali siano veramente i loro diritti all'interno di una relazione sentimentale, riuscire ad intervenire su alcuni particolari contesti sociali, di arretratezza totale, così lontani da quelli a cui possiamo essere abituati vivendo nel contesto medio-borghese di una metropoli, potrebbe servire.
Ma non va fatto a chiacchiere. E' qualcosa che dev'essere ottenuto con i fatti.
E' concretamente che si deve mettere in piedi una rete che sostenga la vittima dal primissimo momento, quello in cui appare il primo piccolo campanello di allarme, e non la molli più, la sostenga, fino alla fine del lungo, doloroso, difficile processo che da questo campanello ha seguito.
Una giustizia efficace e soprattutto rapidissima, che riesca ad eliminare totalmente e subito le condizioni di mettere in atto il delitto; un contesto sociale che - senza se e senza ma, com'è tanto di moda dire oggi - riconosca chi è la vittima e chi il carnefice, senza rivoltanti pulsioni ad invertire questo rapporto; una forte convinzione, da parte delle vittime, rispetto a quelli che sono i propri diritti; un'educazione marcata e martellante, nei riguardi degli aggressori, rispetto al modo in cui vada vissuta (con il partner ma prima di tutto con sé stessi) una relazione.
Senza tutte queste indispensabili cornici, una legge che (solamente) inasprisca le pene e renda le vittime sempre più responsabili (e in un certo senso sempre più sole) sarà - purtroppo - destinata al fallimento.
E' lungo, giusto. Ma si dovrebbe cominciare. Se mai si parte, mai si arriva.

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