venerdì 24 agosto 2018

Il festival dell'ipocrisia


Penso a quante delle persone che si stracciano le vesti e si strappano i capelli per quei poveri cristi su quella nave, non fregherebbe un beatissimo cazzo di tutta la faccenda se non ci fosse in mezzo il tifo politico da portare avanti.

E penso che siamo talmente refrattari ad ogni tipo di regola, di legge, di norma, che anche la locuzione "immigrato regolare" ci dà fastidio, urta il nostro sistema nervoso, ci fa sentire la claustrofobia.

Daniela Derober, della delegazione del Garante per i Detenuti, salita a bordo della nave piena di poveri cristi ferma nel porto, dice al GR1: “Un’altra notte sul ponte, sdraiati con dei cartoni che hanno messo per isolare il ponte con delle coperte, con le coperte termiche, col pile, ma guardando terra e chiedendosi perché. Queste persone sono – di fatto - private della libertà.”

E’ vero!
E’ inumano!
Ma cosa aspettiamo a ridare la libertà a queste persone?
Ma cosa aspettiamo a rinchiudere tutti quei poveri cristi in un centro, sotto ai bandoni di lamiera, a dormire per terra, in stanzoni dove potrebbero stare 10 persone e in cui ce ne stanno 100?
Forza, liberiamoli subito! Restituiamo loro la dignità di esseri umani!

Guardano la terra e si chiedono “perché”… Il paradiso irraggiungibile.
Cosa aspettiamo a dar loro il paradiso sognato?
E’ spietato non mandarli subito a lavorare nei campi del Mezzogiorno, sotto caporalato, a spaccarsi il culo 16 ore al giorno sotto al sole per 20 Euro.
E’ vergognoso sequestrarli su una nave, privandoli della gioia di schiantarsi su una strada italiana, ammassati in un carro bestiame, in uno scontro frontale con un altro carro bestiame pieno di poveri cristi come loro.

Coraggio, liberiamoli!
Così potremo finalmente dimenticarli, con grande serenità, lasciarli al loro inferno, e ricominciare il nostro festival dell'ipocrisia con la prossima nave che arriverà ad alimentare il nostro odioso tifo politico.

Se non fosse fatta sulla pelle di questi poveri cristi, questa valanga di ipocrisia sarebbe quasi divertente. Sarebbe un fenomeno su cui far ragionare per lungo tempo i sociologi.
Invece resta solo rivoltante.
No.
Vomitevole.

venerdì 17 agosto 2018

Social e sciacallaggio


I social stanno seguendo un po’ lo stesso destino che seguono (o hanno seguito) i politici: li si accusa di essere la causa di tutti i mali.
Effettivamente, ormai, sono i social lo strumento con cui si fa (anche) politica, e dunque è normale che si siano sostituiti ai politici come “capro espiatorio” di tutti i mali.
Fermo restando, però, che una cosa resta vera: così come per i politici, i social non sono un’entità astratta, un organismo extra-terreste disceso da Marte.
I social siamo noi.
Quindi, se fanno vomitare, è perché facciamo vomitare noi.
Esattamente, in questo, come per i politici: se in 100 anni di storia non siamo stati in grado di esprimere (salvo eccezioni che si contano sulle dita di una mano) un politico decente, non possiamo che prendercela con noi stessi: i politici italiani sono italiani, siamo noi, nel bene e nel male, hanno – ingigantiti dalla posizione – i nostri vizi e i nostri difetti.

“In occasione di sciagure disperanti come il crollo del ponte di Genova, i social danno il peggio di sé”. Sento dire questo, da più parti. E dicendo così, ci laviamo le mani da ogni responsabilità. Quasi che “i social” fossero dei mostri che si muovono autonomamente, decidendo deliberatamente di dare il peggio di sé. E’ colpa dei social, mica nostra!
Peccato che i social siamo noi.
Se, in occasioni come questa, la principale reazione dei social è lo sciacallaggio, è perché gli sciacalli siamo noi.
I social non hanno colpe.
Sono buoni o cattivi a seconda di come li si usa. Anzi, togliamo la forma impersonale: i social sono come tutte le cose: buone o cattive a seconda di come NOI le usiamo.
Ci sono anche cose positive che i social possono fare, in occasioni come questa. Una che mi viene in mente è la funzione con cui chi si trova nelle zone colpite dalla sciagura può, in un attimo, far sapere a tutti che sta bene.
Questa è una funzione utile.
Se poi, come succede spesso, con un terremoto a Bologna avverte di star bene un abitante di Milano… la colpa non è dei social… la funzione valida c’è. L’errore lo commette chi la usa male.

Che i social facciano da amplificatore a qualunque imbecille che parla è anche vero.
(Il fatto che io ci parli, come in questo momento, ne è testimonianza diretta!!!)
I social sono un enorme, sconfinato bar di quartiere il giorno dopo un evento importante. Ai Mondiali siamo tutti CT, alla morte di Marchionne siamo tutti industriali e speculatori di borsa, alla caduta di un ponte siamo tutti ingegneri, a un terremoto tutti sismologi.
Quello che un tempo restava – per fortuna – circoscritto nell’ambito del bar, oggi viene rilanciato ed amplificato in ogni direzione dai social.
Ma anche qui… la colpa non è mica dei social.
Se io condivido e rilancio qualunque stronzata, senza preoccuparmi della sua fondatezza, e se io condivido e do risalto a qualunque orrore, convinto di stigmatizzarlo ed in realtà aiutandolo a diffondersi, la colpa – ancora - non è mica dei social! La colpa è mia, solo mia. E non ho alibi.

Poi ci sono gli sciacalli veri. Quelli che pur di tifare non si fermano davanti a niente. Quelli che siccome ormai la politica si fa sui social (e anche i politici la fanno così), e siccome la politica è tifo, da bravi tifosi non si fermano davanti a niente, neanche davanti ai morti.
E giù a chi la spara più grossa su quali siano le colpe. Ovviamente, sia chiaro, senza sapere un beneamato cazzo di NIENTE rispetto a come stanno le cose. Senza sapere un cazzo di concessioni, senza sapere un cazzo di ingegneria, si sparano fregnacce a 360 gradi, pur di colpire la fazione opposta, così come fanno i tifosi.
Senza avere rispetto davanti a niente.
E i più vomitevoli  di tutti sono quelli che si appoggiano a personaggi autorevoli, che dicono cose in determinati contesti, avendo quindi validità molto circoscritte, e le rilanciano, decontestualizzandole, e soprattutto usandole col tono di dire: non sono io che sono uno sciacallo, anzi, gli sciacalli mi fanno orrore, ma la verità è questa.
Ancora una volta, la colpa non è dei social.
Gli sciacalli siamo noi. Gli ipocriti, vomitevoli sciacalli, siamo noi, noi e i nostri contatti.

Una cosa, forse, si può imputare ai social. L’unica.
L’aver ridotto drammaticamente il campo d’azione della più civile e sensata possibilità di reazione che abbiamo di fronte agli eventi: il silenzio.
Sia davanti ai morti, sia indotto dall’ignoranza totale.
Il silenzio.